La sindrome da presidente degli Stati Uniti è la patologia del XXI secolo, della nostra società, non importa se italiana, spagnola, tedesca o cinese: restiamo comunque accerchiati dalla tecnica che governa, volente o nolente, le nostre vite. È innanzitutto degenerativa, quindi tende a peggiorare nel tempo, si incancrenisce. Lo notiamo al supermercato, in coda alla cassa, dove typpiamo occupati dai nostri affari lavorativi senza concederci un respiro in un momento di attesa fisiologico. Lo notiamo tra amici, o presunti tali, dove per organizzare una serata bisogna incrociare degli impegni, il più delle volte velleitari al proprio solipsismo insito in ognuno di noi, che sembrano inderogabili. Liberatevi dalla meccanicità dei rapporti umani.
È una società, la nostra, che tende a lasciarci senza respiro. È una società, la nostra, che tende a farci sentire occupati sempre, senza lasciarci quei brividoni di libertà che ci regala, ad esempio, la musica , le arti figurative e via dicendo.
Ecco la sindrome. Ecco questo sentirsi disturbati, già prima in solitudine con le macchine virtuali con cui ci rapportiamo più che con i nostri simili, e poi in società o semplicemente per una birra tra amici un venerdì sera qualunque.
Come se ne esce?
È semplice? No, proprio per niente.
È come disintossicarsi da una dipendenza da alcool. È un processo lungo e graduale.
Non dà sconti a nessuno di noi, da Nord a Sud, giovani da un po’ (è soprattutto tra la nostra generazione che è diffusa questa sindrome).
Vi posso solo dire la mia: create.
Non lasciatevi occupare dalle macchine.
La macchina è di per sé meccanica inconfutabile, reiterazione di gesti umani uguali a se stessi.
Nella creatività ciò non accade: ogni giorno si può cambiare soggetto, opera, desiderio. C’è quel respiro che noi presidenti di Stati Uniti non assaporiamo così tanto nella nostra quotidianità.
Scegliete questa via, certo non facile, impervia perché non battuta da nessuno, della creatività.
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