I FESTIVAL DI IERI

I festival degli anni Settanta

Nel 1971 il poeta e giornalista Carlo Silvestro con l'allora compagna Silvia Fardella del Living Theater di New York apre a Terrasini, in provincia di Palermo, una Comune.  La comunità, che ha sede a Villa Fassini, dimora nobiliare in stile Liberty che era stata proprietà della famiglia Florio, è uno spazio di assoluta sperimentazione dove ciò che è stato trasmesso dalla scuola, dalla famiglia o anche dalla chiesa viene messo da parte, perché alla Comune tutti s’inventano un modo diverso di osservare e vivere le cose. La Comune è frequentata da attori, giornalisti, scrittori, poeti. È il periodo storico secondo il quale in politica o sei comunista o sei di destra; o sei all’interno della grande tradizione del partito operaio o sei un conservatore. La terza via, quella artistica, creativa, esistenziale, è vista come un mondo un po’ leggero, disimpegnato, qualunquista. E Re Nudo, che aveva appena iniziato le pubblicazioni, invece, questa terza via vuole intraprenderla. 

E proprio a Terrasini, vedendo l’energia che un gruppo di artisti può sprigionare quando si incontrano, nasce l’idea di un Festival alternativo. Lanciando lo slogan “Facciamo che il tempo libero diventi tempo liberato” e in controtendenza con il disinteresse della sinistra extraparlamentare nei confronti della musica rock, si pensa di organizzare un festival alternativo. Nella Comune Andrea Valcarenghi, tra i fondatori della rivista, incontra molte delle persone che si offrono a collaborare alla realizzazione di un raduno musicale; un raduno che sia anche uno spazio di comunicazione tra le persone. L’obiettivo è che oltre gli spazi dedicati al sociale e al politico, si preveda anche la “dimensione esistenziale”. 

Ballabio, 25/26 settembre 1971

La prima edizione è in programma nel weekend tra il 25 al 26 settembre, la sede scelta è Ballabio, piccolo Comune sulle alture del lago di Como in provincia di Lecco. Lì c’è una sorta di oasi - una conca in mezzo al bosco a forma di anfiteatro ricoperta di erba e dalle alture si vede il lago – che si raggiunge dal centro abitato di Lecco solo dopo un lungo cammino di una ventina di minuti tra boschi e prati. Si allestisce un palco fatto da tubi innocenti e tavole di legno senza nessuna separazione tra i musicisti e il pubblico e un bar dove tutto costa 100 lire, panini, birra, caffè, gelati. Malgrado la logistica, la scomodità per raggiungere l’area e le previsioni meteo non proprio incoraggianti - è prevista pioggia per tutti e due i giorni - arrivano circa diecimila persone che si accampano con tende e sacchi a pelo, tanti senza neppure quello. Nonostante i disagi per un’organizzazione non preparata ad accogliere questi numeri - aspettavano non più di duemila persone tenuto conto che per la promozione dell’evento si sono affidati esclusivamente agli annunci sulla rivista, qualche volantinaggio nelle scuole e al passaparola tra amici – Re Nudo ha la prova che anche l’Italia è matura per i raduni pop e si decide che l’appuntamento andrà replicato. 

 

Zerbo, dal 16 al 19 giugno 1972

La seconda edizione del Festival si svolge a Zerbo, località lungo le rive del Ticino in provincia di Pavia, e dura quattro giorni, dal 16 al 19 giugno. L’arrivo del Festival di Re Nudo è ben visto dagli abitanti di Zerbo, poco più di seicento anime che aiutano l’organizzazione a montare il palco e i chioschi con i punti di ristoro, e che poi partecipano pure al rito serale collettivo del bagno nel fiume: nudi i giovani, col costume quelli un po’ più avanti con l’età. Anche stavolta gli organizzatori sbagliano le previsioni: sono attese circa diecimila persone, ma già al primo giorno erano più di ventimila, con la polizia costretta a bloccare l’afflusso delle auto a quattro chilometri dall’ingresso al paese. È la stessa polizia che al termine del festival stima la partecipazione di oltre trentamila persone. Rispetto alla prima edizione questa volta ci si è rivolti a un service che monta il palco e l’amplificazione e anche il cartellone proposto fa un notevole salto di qualità e abbraccia tutti i generi musicali. Gli artisti si alternano sul palco ininterrottamente giorno e notte e tra una presentazione e l’altra dal microfono si lanciano slogan contro l’intervento americano in Vietnam, a favore dell’amore libero e della liberalizzazione delle droghe leggere. Davanti al palco centinaia di fuochi accesi con intorno la gente che ascolta, fuma, discute, mangia, beve o più semplicemente dorme. 

 

Alpe del Viceré, dal 15 al 17 giugno 1973

All’interno dell’azione extraparlamentare dilaga la violenza mostrando mostrato i limiti, politici e sociali, negli atenei e nei licei si perde quella “spensieratezza” che aveva contraddistinto le prime contestazioni: la protesta si trasforma in ribellione e diventa una cosa drammaticamente seria, dove il fattore dominante è la violenza e la paura. Così la linea editoriale di Re Nudo decide di lasciare la teoria dell’azione rivoluzionaria per dedicarsi esclusivamente alla controcultura, convinti che per fare crescere il movimento che “vuole cambiare il mondo” le sole istanze da portare avanti sono quelle dell’underground, del pacifismo e della condivisione. Intanto la musica italiana cresce, le canzoni dei nuovi cantautori iniziano a trattare temi sociali, così che la formazione politica passa anche dai testi e dalla musica e il Festival inizia a rappresentare un appuntamento fondamentale per la controcultura giovanile. La terza edizione del Festival è in programma dal 15 al 17 giugno all’Alpe del Viceré, ancora nelle immediate vicinanze del lago di Como. A poche ore dall’inizio, con oltre ventimila persone sul prato, mancano ancora l’energia elettrica e l’allacciamento all’acqua potabile perché la giunta comunale nega l’autorizzazione. La sera prima, per le strade del paese circola un volantino anonimo (ma tutti lo attribuiscono al parroco) dove si legge «Con la scusa del Festival Pop nella nostra zona si radunerà, insieme a alcuni bene intenzionati, gentaglia di ogni estrazione morale, anzi immorale, che con promiscuità, nudità, droga, forse furti ne faranno di tutti i colori... La zona dell’Alpe non ha acqua, non ha servizi, come la conceranno? Genitori, tenete in casa i vostri figli in questi giorni! Cittadini, non date passaggi a quei barboni che vi chiedono un posto in macchina! Non date nessun panino se vi chiederanno da mangiare». Non viene concesso nessun permesso e la manifestazione è annullata, il sindaco chiede di mandare gli agenti a sgomberare la collina dove a migliaia sono già arrivati e hanno piantato le tende. Il questore dimostra buon senso e decide di non intervenire ma chiede all’organizzatore di farsi portavoce e sgombrare autonomamente l’area. Attraverso un megafono al pubblico viene comunicato che è meglio andarsene perché altrimenti potrebbe capitare il peggio. La platea batte le mani, ma nessuno si muove. Più che un festival è una pacifica occupazione pop e, anche se in maniera poco ortodossa, il Festival si svolge senza il permesso del Comune. Grazie a questo successo, contro tutto e tutti - politica, polizia, burocrazia e pure contro il parroco - il Festival di Re Nudo comincia ad essere corteggiato dalle varie organizzazioni extraparlamentari e dalle case discografiche che si rendono conto del potere promozionale dei Festival e del mercato potenziale rappresentato dal proletariato giovanile. I cantanti sono portavoci di ideologie e battaglie, un po’ come era successo con il movimento hippie americano e giocano un ruolo di primo piano. 

Milano, dal 12 al 16 giugno 1974

Dopo i successi riscossi in provincia, il Festival è pronto a conquistare la città e approda al Parco Lambro di Milano (sempre senza permesso) per cinque giornate, dal 12 al 16 giugno. L’organigramma dell’organizzazione della manifestazione di Re Nudo cambia: a collaborare al Festival sono chiamati Rosso, i Circoli Ottobre, la Federazione dei giovani socialisti e, per la prima volta, il Festival è chiamato Festa del Proletariato Giovanile. Il pubblico che raggiunge il Parco Lambro è eterogeneo e va dai militanti extraparlamentari, ai semplici appassionati di musica, studenti, operai, artisti, femministe, freakettoni, turisti, curiosi, giornalisti e gli immancabili sociologi, arrivati per studiare il “fenomeno”. L’ingresso è gratuito - anche se come si legge sul manifesto “ogni offerta è oltremodo gradita” - e per i prati del Parco Lambro passano almeno centomila persone. Sul palco, presentati da Massimo Villa - speaker del programma radiofonico della Rai Per voi giovani - si alternano esponenti di tutti i generi musicali, ma nella stesura del cartellone la collaborazione artistica di Gianni Sassi, patron dell’etichetta discografica indipendente Cramps, si fa sentire e alcune delle sue proposte, come ad esempio le esibizioni di Marchetti e Hidalgo, sono viste come provocazioni perché troppo snob. L’idea dell’entourage di Re Nudo è oramai quella di proporre per i giovani di sinistra un’alternativa alla sclerotizzata, Festa de L’Unità. Le proposte musicali lo sono di sicuro, ma panini e salamelle, stand e spazi autogestiti, striscioni e bandiere rosse, confusione e disorganizzazione sono pressoché identici. 

 

Milano, dal 29 maggio al 2 giugno 1975

Il progetto di Re Nudo si afferma e l’anno dopo alla macchina organizzativa si aggiungono Autonomia operaia e Lotta continua. Il Festival torna sulla piazza di Milano, dal 29 maggio al 2 giugno, sempre al Parco Lambro. Re Nudo sembra aver guadagnato sul campo i gradi di “coscienza critica del movimento” e le cose si si fanno alla grande: a partire dal poster da affiggere sui muri della città - creato da Mario Convertino, uno dei designer di grido della discografia - per finire al cartellone degli artisti. Tra le sorprese negative c’è che l’ingresso non è più gratuito - per partecipare all’evento occorre fare una tessera che costa 500 lire ed è valida per tutte le cinque giornate - e una sorta di servizio d’ordine all’interno del Parco, gestito da Lotta Continua, che armati di bastoni e manganelli controllano i varchi d’accesso all’area del festival. L’acquisto della tessera non è obbligatorio, perché l’organizzazione, volutamente, non recinta l’intera area: formalmente si chiede la tessera e tutti i viottoli d’accesso al palco sono controllati, ma chi non vuole pagare basta che faccia il giro della collinetta ed entra dal retro. E alla fine sono molto pochi quelli che entrano gratis. I rapporti, però, cominciano a incrinarsi: quelli tra le diverse parti dell’organizzazione, quelli tra il pubblico e il servizio d’ordine e quelli tra il pubblico e gli artisti, molti dei quali sono fischiati. Quel senso di appartenenza, che ha decretato il successo della manifestazione, si sta sciogliendo come neve al sole. 

 

Milano, dal 26 al 29 giugno 1976

Nel 1976 i Circoli del proletariato giovanile cominciano a operare soprattutto nelle aeree metropolitane: riuniscono i giovani delle periferie nelle case occupate, ma anche nei bar o nei centri ricreativi, e più che obiettivi politici forniscono una sorta di sostegno sociale e di rifugio dallo squallore delle periferie. Le loro rivendicazioni sono caratterizzate da un invito esplicito all’autoriduzione (cioè, sfondare i cancelli ed entrare gratis) – soprattutto ai concerti rock al grido di «La musica non ha padroni», poi anche ai cinema e – più raramente – ai teatri – e all’esproprio proletario.

La sesta edizione del Festival del Proletariato giovanile di Re Nudo, in programma ancora al Parco Lambro dal 26 al 29 giugno, è un disastro annunciato. 

L’aria è elettrica sin dal primo giorno e gli organizzatori - Re Nudo, Lotta continua, Avanguardia operaia, Mls, Quarta internazionale, Collettivi anarchici e altri gruppi della sinistra rivoluzionaria - arrivano alla festa già divisi tra loro, con grosse contraddizioni che non toccano tanto i problemi tecnico-organizzativi ma i contenuti politici e prettamente ideologici, come la gestione delle assemblee, dei collettivi, gli spazi sul palcoscenico. Il festival non è più solo un appuntamento dei giovani di sinistra: ormai all’interno del Parco Lambro circolano tutti, dagli Indiani metropolitani agli spacciatori, dai semplici teppisti agli studenti, dagli autonomi a qualche fiancheggiatore della lotta armata. Sono oltre centomila persone, molte di queste arrivano attrezzate con le tende perché ormai questo parco nella periferia milanese è vissuto come una piccola Woodstock. Solo che da subito si capisce che tira una brutta aria, e che dello slogan “pace & amore” non gliene importa a nessuno.

Ben presto la situazione sfugge di mano agli organizzatori, anche perché il Comune di Milano (dove si è appena insediata una giunta di sinistra Pci, Psi e Dp guidata dal socialista Carlo Tognoli), incurante della presenza di una massa umana così grande, nega l’allacciamento dell’acqua potabile.

Tutti contestano tutto, specie se in vendita, quindi gli spettacoli musicali, i seminari, i corsi, i libri, i giornali e tutto ciò che gli organizzatori avevano proposto, persino la vendita di panini, birra, libri e dischi “di sinistra”. I contestatori, poco più di tremila, sono studenti dei licei e delle università in rivolta, disoccupati e sottoproletari, e si organizzano in pochissimo tempo: formano cortei interni, chiedono l’abbassamento dei prezzi, discutono in assemblea della lotta al sistema, salgono sul palcoscenico e interrompono i concerti, aprono con la forza i camion e distribuiscono gratuitamente a tutti gelati, patatine, panini e persino polli crudi e pure surgelati. È il momento dell’autoriduzione proletaria, del “riprendiamoci tutto”. È l’entrata in scena ufficiale degli autonomi. Durante le quattro giornate nessun leader di nessun movimento riesce a prendere la parola. Va in scena così la rivolta delle maestranze contro l’organizzazione gerarchica del festival, colpevole di aver orchestrato una festa alternativa sulla testa del proletariato, vendendo musica e anche cultura di base, ma dimenticando i bisogni di migliaia di giovani che avevano 6.000 lire per campare lì quattro giorni. In tutta questa confusione si attiva il Servizio d’ordine della festa (anche questa volta per la maggior parte composto da esponenti di Lotta continua) che, armato di spranghe e bastoni, perquisisce le tende, devasta gli stand dove viene venduta merce di provenienza dubbia (cioè si sospetta sia rubata), picchia senza pietà tossicodipendenti colpevoli di aver fatto entrare l’eroina al parco, processa anche i piccoli spacciatori di fumo.

Davanti a questa ondata di violenza, molto spesso gratuita, il proletariato giovanile rifiuta ogni programma e si ribella agli organizzatori e la presunzione di fornire una guida culturale al popolo festivaliero s’infrange di fronte allo slogan urlato in faccia al Servizio d’ordine: «Via! Via, la nuova polizia». Poi la rabbia del pubblico incattivito si scarica contro il palco, inveendo contro quegli artisti che fino a pochi mesi fa erano quelli che portavano avanti le loro battaglie. Intanto la polizia, quella vera, accerchia l’area del Festival e resta a guardare sbigottita mentre i giovani di sinistra si picchiano tra di loro.

È il momento più negativo della controcultura, la fotografia di una generazione allo sbando. Al Festival si sono improvvisamente materializzati i “veri” bisogni proletari, tanto cari alla retorica dei leader extraparlamentari del periodo; bisogni di giovani che hanno manifestato chiaramente la fine delle ideologie fine a sé stesse.

 

Guello, dal 9 al 12 giugno 1977

Le migliaia di polli surgelati, rubati dalle celle frigorifere dei camion e gettati in un fosso del Parco Lambro assieme alle immondizie, simboleggiano la drammatica fine della gioia e della condivisione di una generazione, forse anche due, che cercava risposte ma non le ha trovate, che voleva cambiare il mondo ma non c’è riuscita. Tra carri armati, guerre, atti di terrorismo, droga i movimenti giovanili sono sbiaditi e la fiamma della controcultura è andata lentamente ma inesorabilmente a spengersi. 
Però dal vecchio qualcosa di nuovo nasce. Invece di fare autocritica e capire dove si è sbagliato e cosa non ha funzionato, gli organizzatori appartenenti ai gruppi politici, scappano dalle loro responsabilità e abbandonano per sempre prima i festival, poi gli stessi militanti che restano spiazzati, senza una guida. Si crea quindi una frattura tra l’area che porta al proletariato giovanile e alle esperienze come quelle del Parco Lambro verso un’area di meditazione, spiritualità e cura del corpo, che già negli ultimi due Festival aveva iniziato a mettere le basi all’interno di un’area separata dove gli stand erano rigorosamente vegetariani, si proponevano massaggi, meditazioni dinamiche e yoga. La redazione decide di andare avanti senza l’aiuto dei gruppi politici e nel 1977 organizza il Festival di Re Nudo (non più del proletariato giovanile) tra i monti di Guello, ancora nel comasco, in forma “semiclandestina”, con poca musica e molta meditazione. Il tono è minore, non c’è nessuna promozione per timore di nuovi disordini. Già dal programma, che parla di cucina macrobiotica, meditazione, yoga, massaggi zen, si ha conferma della rottura col recente passato. È tutto all’insegna dello “stare insieme” verso forme salutiste di vita e anche la linea editoriale di Re Nudo sottolinea un marcato ritorno a istanze esistenzialiste e mistiche. 

Un cambiamento dovuto anche al fatto che gran parte della dirigenza e dei collaboratori del giornale - stufi del continuo mettere tutto in discussione, nauseati dalla troppa violenza tra le parti e dall’avvicinarsi pericoloso della lotta armata - intraprende la via della ricerca spirituale. 

 

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