Poiché questa storia ha dell’incredibile, partiamo dal presupposto che si tratti di pura fantascienza. D’altra parte stiamo trattando di “cose dell’altro mondo”, ed è proprio lì che voglio portarvi. Per fare questo dobbiamo però tornare un po’ indietro nel tempo e addentrarci in una vicenda complicata. Tutto inizia con una ricerca realizzata grazie a un ingegnoso strumento, un “Frequenzimetro per la Spettroscopia molecolare” che permetteva di “vedere” cosa c’è sottoterra. Un apparecchio apparentemente semplice ma molto interessante per i risvolti pratici dovuti al suo utilizzo: in grado di intercettare le falde acquifere, rilevare i bacini petroliferi e le vene minerali. Uno strumento che si rivelò prezioso anche per il rilievo nel sottosuolo di importanti resti archeologici, tombe e antiche fondamenta. L’inventore dello strumento era l’ingegnere Alessandro Porro. Alla fine degli anni Cinquanta si trovava in Brasile e aveva messo a punto questo straordinario congegno che amava definire Rabdomante Elettronico. Veniva chiamato come consulente in diverse parti del mondo e contribuì al ritrovamento di interessanti risorse petrolifere, gassose e idrogeologiche. Giunse quindi in Italia per far conoscere il suo apparecchio per la rilevazione sotterranea. Lo strumento venne così utilizzato durante gli scavi a Milano della Linea 1, grazie al quale furono rinvenuti importanti siti archeologici come i resti della Basilica di Santa Tecla presso il Duomo. In quell’occasione Porro incontrò Mario Miniaci, giornalista del Corriere della Sera (scomparso nel 2009), che seguì le ricerche dell’ingegnere per oltre dieci anni. Il 25 marzo del 1963 la Domenica del Corriere – settimanale del Corriere - dedicava al Rabdomante Elettronico la copertina (disegnata da Walter Molino) e due pagine interne firmate dallo stesso Miniaci. Un altro articolo sui rilievi effettuati con il geo-radar comparve sempre sul Corriere della Sera nel 1965. Poi accadde qualcosa di nuovo. Era il 1967 e l’ingegner Porro, oltre a prestare le sue consulenze professionali dove gli venivano commissionate, si dilettava a fare delle ricerche con il suo strumento a titolo personale in alcune aree della Pianura Padana, del centro Italia e in Svizzera. Il Rabdomante Elettronico funzionava fin troppo bene, poteva “vedere” fino a un chilometro di profondità, cosa difficile anche per i nostri attuali geo-radar. I risultati delle ricerche, annotati in forma di diario da Miniaci, erano impressionanti: il frequenzimetro aveva rilevato i resti delle vestigia di una specie intelligente antecedente alla nostra, tecnologicamente molto avanzata che, secondo le stratificazioni, era vissuta sulla Terra probabilmente in un periodo compreso dai 50 ai 30 milioni di anni fa nel cosiddetto Periodo Eocenico. Nel sottosuolo si “vedevano” numerose sfere in cemento armato e titanio distribuite regolarmente, con un diametro di 40 metri di diametro e dei corpi umanoidi, diversi dalla nostra umanità, conservati in alcune nicchie. Porro morì improvvisamente nel 1976 e degli appunti e tutta la documentazione sui rilievi non si seppe più nulla. Per un curioso caso di sincronicità, in concomitanza con la pubblicazione di questo saggio è apparso sulla rivista Scientific American del 23 aprile 2018 il risultato di una ricerca. Il titolo dello studio “È esistita una civiltà industriale pre-umana sulla Terra?” dove si sostiene che nella Storia della Terra il periodo più probabile in cui può essere comparsa una civiltà tecnologica superiore alla nostra è proprio il periodo dell’Eocene, che risale a 50/30 milioni di anni fa. (Si veda il sito www.lescienze.it). Abbiamo veramente a che fare con una specie intelligente e tecnologicamente molto avanzata, vissuta sulla Terra in anticipo di milioni di anni rispetto alla comparsa del genere umano?
A una profondità di 400 metri dal suolo Porro riuscì a rilevare qualcosa di incredibile. Erano le vestigia di una civiltà industriale antichissima, antidiluviana, molto più avanzata di quella attuale. Qualche notizia sulle sue scoperte cominciò a trapelare e alcuni strani personaggi invitarono l’ingegnere a lasciar perdere. Porro interruppe l’utilizzo pubblico del frequenzimetro e ne nascose il funzionamento. Continuò però a indagare, ma lontano dai riflettori, facendosi accompagnare da tre amici fidati: il geologo di fama nazionale Floriano Villa, il giornalista del Corriere Mario Miniaci, che lo aveva già seguito durante importanti rilievi archeologici, e Luciana Petruccelli.
Marco Zagni è un esploratore milanese, appassionato di civiltà antiche. È stato il primo italiano nel 1998 a raggiungere l’Altopiano di Marcahuasi, sulle Ande del Perù Centrale. Rimase impressionato dalle enormi sculture megalitiche, antropomorfe e zoomorfe, che secondo il ricercatore peruviano Daniel Ruzo costituivano l’opera di una civiltà antidiluviana scomparsa. Zagni fece diverse fotografie e decise di andare a fondo effettuando delle ricerche per capire se si trattasse di formazioni naturali o potessero davvero essere attribuite ad una civiltà remota sconosciuta.
Nella primavera del 2000 Zagni incontrò il geologo Floriano Villa per una consulenza in merito a queste sue indagini. Dopo aver esaminato le foto del leggendario altopiano peruviano, Villa confermò che molto probabilmente quelle formazioni potevano essere la testimonianza dei resti di un’antichissima civiltà evoluta. Come quella di cui già aveva rilevato le tracce tempo addietro con le ricerche dell’ingegner Porro. Fu così che i due iniziarono a frequentarsi e scambiarsi informazioni sulle sconcertanti scoperte effettuate negli anni Sessanta dall’Ingegner Porro.
Grazie alla famiglia del giornalista Mario Miniaci e a Luciana Petruccelli (deceduta pochi anni fa) Zagni è riuscito a raccogliere diverso materiale inedito sulle ricerche effettuate nel sottosuolo e gli incredibili ritrovamenti. Con il contributo di alcuni ricercatori - Diego Marin, Andrea Lontani e Loris Bagnara nel 2018 è stato pubblicato il saggio Il risveglio degli Antichi (Graal Edizioni).
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