La netnografia dice chi siamo

Anna Maria Turra

È un’evoluzione del metodo etnografico, al cui vocabolo si aggiunge net cioè Internet, caratterizzato dall’impiego della tecnica dell’osservazione partecipante, descritta nei suoi esordi dall’antropologo Bronislaw Malinowski nel 1922 e adottata anche dalla sociologia, a partire dalla Scuola di Chicago guidata da Robert Ezra Park.  
Attraverso l’ascolto delle conversazioni generate online si sono trovati numerosi campi di applicazione con l’avvento del Web 2.0. A Kozinets dobbiamo il fatto di poter studiare i consumi e le tendenze degli utenti della rete, i cliché che non corrispondono affatto alla realtà nella nuova simbologia online, se possiamo partecipare o immergerci in una navigazione scoprendo di far parte di un gruppo, se i nostri interessi, hobby o tendenze ci faranno emergere ad una superficie la cui inconfutabilità ha un nome. E ancora se possiamo riflettere a breve e lungo termine, proiettare, decretare e classificare noi e il nostro mondo a seconda delle rilevanze più svariate, se appartenere a gruppi sulla base di sezioni tanto disparate quanto lo possono essere le nostre visioni. Certo è a partire dal marketing che la netnografia ci conduce a un sistema di analisi che oggi viene applicato alla salute, all’educazione, alla sociologia, alla geografia umana; è un metro divenuto griglia di scansione della realtà: la dilata o la riduce consegnando spaccati effettivi mai prima esplorati con questa agilità e precisione.
La netnografia ci osserva interagire in una navigazione che ci somiglia e ci identifica ed è come se interrogarci sul suo significato e sul suo scopo fosse oggi quasi un ossimoro. Attraversa lo studio dei comportamenti e, mentre ci chiama “utenti”, una fonte inestimabile di dati viene raccolta ed analizzata, declinata e incrementata. Tra statistiche e controlli incrociati, grafici che poggiano su discussioni e commenti generati, noi scopriamo di essere il contesto. 
Eppure, questa nuova antropologia sul web ci informa a suo modo che non tutto è come sembra, che sfuggiamo a noi stessi non appena abbassiamo la guardia. Ad esempio, tramite il monitoraggio dei quotidiani online, ci parla di quella spirale del silenzio sui social e ce la spiega con prove che conducono a risacche di indecisi, indagano tra i silenti dando loro la stessa opportunità di presenza numerica di chi sul web si affaccia; non ce lo spiega solo utilizzando informazioni pubbliche, frutto della condivisione spontanea degli utenti sui tutti i media, ma ce lo chiarisce tentando di portare l'elemento umano in un'esperienza che si svolge al di fuori della dimensione corporea. Per farlo, la netnografia impiega una straordinaria mole di dati, li estrapola da Internet ma non solo, perché non sono esclusivamente dati basati sull’osservazione. In un metodo che fissa l’approccio quantitativo a quello qualitativo, in una proporzione che è in parte a discrezione del ricercatore e in parte è determinata dallo scopo dalla ricerca, un’etica ferrea regola le procedure della ricerca digitale.
Sebbene l’ipotesi che “o si è nella maggioranza o si preferisce tacere la propria posizione” venga confermata da una ricerca recentemente effettuata negli Stati Uniti dal PEW Research Internet Project, essa muove da una teoria proposta nel 1984 dalla sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann. E sostiene che sia più facile avere un’opinione sulla tendenza della maggioranza e che, in merito a uno specifico tema, sia la paura dell’isolamento a silenziare le opinioni difformi. Maggioranze rumorose e minoranze silenziose trovano nel processo netnografico lo stesso spazio d’identificazione, con l’uso di tecniche e codici che rappresentano la tradizione antropologica, quale l’osservazione partecipante e la possibilità di discutere con le community online le interpretazioni emerse, la realtà si dettaglia in un continuo movimento.
In sintesi siamo noi il campo di applicazione, ancora da esplorare ma in gran parte codificato, uroboro in grado di misurare l’enormità di cui l’avvento della rete è stata capace di informarci fin qui.