Il virus del padel uccide gli sport

Lorenzo Pacini

Nel 2020 la svolta: complice la pandemia, i campi sportivi decidono di approfittare dell’obbligo di stop per investire in questa nuova attività. Con 20 mila euro circa a campo di investimento, partono i cantieri e nel giro di poche settimane vengono tirati su i campi.

Un campo da padel misura 23 metri di lunghezza per 13 di larghezza, molto meno di un campo da calcetto a cinque giocatori per squadra. Per capirci meglio: per ogni campo da tennis ce ne stanno tre da padel. Ogni campo sportivo, ogni palestra rincorre la domanda sempre più crescente e costruisce il suo campo di padel. Accade a Roma e a Milano, ma anche sulle riviere, nelle città di provincia e in tutto il Paese. 

A Milano, secondo i dati forniti dall’Assessorato allo Sport, si contano 358 campi in tutta la provincia, in Lombardia sono 858.

Nella prima metà di dicembre si è tenuto all’Allianz Cloud di Milano il P1-Premier Padel. Il Premier Padel è il circuito ufficiale del padel mondiale, organizzato dalla Federazione internazionale padel (Fip) e promosso dalla Professional Padel Association (Ppa) e da Qatar Sports Investments (Qsi). Più di 27 mila spettatori hanno assistito al torneo, decretandone il successo.

Il Presidente della FIP è un italiano, Luigi Carraro. Presidente al secondo mandato, eletto la prima volta nel 2018 dopo presidenti esclusivamente argentini e spagnoli. Luigi è figlio di Franco Carraro, già presidente della Federazione italiana giuoco calcio, del Coni, membro dal 1982 del Comitato Olimpico, per tre volte ministro del Turismo e dello Spettacolo e Sindaco di Roma. Luigi guida la federazione del padel nel momento di sua più grande crescita ed espansione, puntando proprio sull’Italia come nuovo terreno di conquista di giocatori e ha un chiaro obiettivo: il raggiungimento della disciplina olimpica, che per tutti i “nuovi” sport è quella medaglia che consente di entrare nel giro dei “grandi”.

Il padel, dicevamo, è il gioco perfetto. È facile, lo giocano tutti. Si sa che sport è anche socialità, relazioni, scambio, soprattutto in un paese come il nostro dove si basa tutto sul “conosci quello”. Quattro giocatori, quindi niente affollamenti negli spogliatoi, la competizione è alta ma poi si chiacchiera, ci si confronta e si chiudono affari, si scambiano contatti.

Poi c’è il costo, dai 48 ai 50 euro per 60 o solitamente 90 minuti di gioco. Al singolo giocatore costa mediamente il doppio di una partita a calcio. Ma non c’è solo il costo del campo. Come giustamente riportano i blog degli appassionati, inizialmente si usano le racchette fornite dal campo e le palline di ordinanza, poi uno si appassiona e via che si va di attrezzatura tecnica: le racchette, le scarpe, i polsini, le palline, e tutto il resto. Con i prezzi che si alzano e la domanda che aumenta.

Lo giocano tutti, dicevamo. Ma soprattutto lo giocano i boomer. Li conosciamo tutti, anzi lo siamo anche noi e voi, cinquantenni e sessantenni, spesso in buono stato lavorativo e finanziario. Il padel è il gioco perfetto per il milanese imbruttito, sembra fatto apposta per lui. A ogni colpo di racchetta mi sembra di sentire il “taaac”, ad ogni punto il “ma vieeeniiiii” alla Giovanni di Aldo Giovanni e Giacomo. 

È tutto bellissimo. Un nuovo sport, campi luccicanti, economia che gira, investimenti che rendono. E allora? 

Il punto sta proprio qui. Le grandi città, Milano su tutte, vivono oggi un grande problema sociopolitico, ramificato su due aspetti: gentrificazione totale e schiacciamento delle nuove generazioni. Il padel è esattamente questa cosa qui. Il padel è la rivincita, o meglio la vittoria dei boomer sui giovani. Giovani che giocano a pallone, che si smezzano il costo di un campetto riuscendo ancora a pagare quei 5, 6 euro a testa per un’ora di partita. Giovani che corrono e si ammazzano per una sfera.

Per ogni campo di padel nuovo e spazio tolto al calcio, al rugby, a qualsiasi altro sport. È l’infighettamento di quei campi marci, lerci, periferici e popolari che ancora rappresentano un buco di accessibilità economica di questa città.  È cementificazione, è rinuncia al senso dello sport più insito.

A scanso di fraintendimenti: la diffusione di nuovi sport è una cosa bellissima, soprattutto se mettono in discussione il monopolio del calcio. Il problema è che il padel è troppo conveniente. I campi sportivi rientrano subito dell’investimento, la manutenzione è bassissima, il costo del campo alto e la domanda altissima. 

A tutto questo aggiungiamo i costi dell’energia e delle bollette per i campi sportivi, che ancora devono riprendersi da anni di stop per la pandemia. Qualsiasi concessionaria sportiva con spirito per gli affari non dovrebbe rinunciare all’investimento sui campi da padel.

Il danno sociale, però potrebbe essere molto più alto di quello che ci si possa aspettare.

Che piaccia o meno il calcio è lo sport più popolare del mondo perché ti basta una palla e qualche amico. Niente strumenti, niente arbitri, niente campi particolarmente attrezzati. È il suo bello. Ma al calcio e alle migliaia di ragazzi (e ultimamente e finalmente anche molte ragazze) che lo praticano serve lo spazio. 

E il padel, e i boomer, se lo stanno prendendo tutto.

 

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