Anni 80, voglia di cambiare passo

Luca Pollini

Sono “di fango” per Indro Montanelli e “della rucola” per Michele Serra, ma per molti gli anni Ottanta sono, e restano, quelli “della Milano da bere”, dell’edonismo esasperato e del disimpegno. Un periodo che vede i giovani – svuotati, stanchi, reduci da un decennio di sangue e di morti a colpi di spranghe, pistola ed eroina, con una gran voglia di cambiare passo.

Il periodo che alcuni liquidano con: «Spararono a John Lennon e iniziò un decennio di merda» è invece complesso, difficile e indecifrabile, vissuto dalla prima generazione post-ideologica. È il decennio della “leggerezza”, in contrapposizione alla “pesantezza” dei Settanta, vissuto in una sorta di deserto culturale dove la sostenibile leggerezza dell’essere è all’ordine del giorno. Largo, quindi, all’evasione e al non-sense; porte chiuse, invece, all’impegno e alle ideologie. Il nuovo boom dei consumi e l’espansione del benessere economico scoperchiano il desiderio di trasgressione. Modaioli, creativi e pubblicitari sono i nuovi modelli di riferimento, i nuovi leader e idoli: prendono il posto di artisti e scrittori proponendo una sorta di fai-da-te della felicità che nasce da un delirio di onnipotenza. Scompare la tensione al bene comune, sostituita dall’ansia di apparire e mostrare il possesso a ogni costo. La musica e il cinema diventano così “usa e getta” (il cantautore impegnato e il cinema d’autore lasciano il posto a una musica più irriverente e ai cine-panettoni). Si viaggia di più e si è convinti di essere moderni e cosmopoliti: in realtà si è un po’ naif, provinciali che imitano lo yuppismo americano e la contestazione punk inglese. 

 

Oggi grazie anche alla memoria digitale quello che appartiene al passato appare più bello, sia del presente sia di ciò che era nella realtà. E diventa mitico. 

Ed è ciò succede anche agli anni Ottanta, decennio che spesso si ritrova celebrato senza nostalgia ma con una sorta di continuità come se non fosse mai finito. E viene idealizzato nonostante le sue contraddizioni tra edonismo reganiano e manifestazioni operaie, tra apparenti rivoluzioni e conservatorismo thatcheriano, tra punk e paninari, tra impegno sociale e voglia di apparire, tra comunismo moribondo ed esplosione del consumismo, una sorta di calderone dove per il Novecento scatta il conto alla rovescia e il Duemila inizia a prendere forma.

Su una cosa, però, si è tutti d’accordo: il potere esercitato sull’immaginario collettivo è sempre molto forte, quasi che quegli anni conservino qualcosa di magico grazie a quell’alone di spensieratezza. 

Ma le cose non sono andate proprio così

Gli Ottanta iniziano come i Settanta, con una strage (quella alla Stazione di Bologna) ma terminano con Achille Occhetto, segretario del Pci, che nel novembre 1989 illustra il processo politico che porterà due anni più tardi allo scioglimento del Partito comunista. 

E in mezzo? Scandali (Loggia P2, Carceri e lenzuola d’oro); attentati (al Papa e al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa); errori giudiziari (Enzo Tortora); delazioni (Leonardo Marino verso Sofri, Bompressi e Pietrostefani); morti illustri (Umberto II, ultimo re d’Italia) e tragiche (Gilles Villeneuve); firme storiche (il nuovo Concordato tra Stato e Chiesa); imprese sportive (vittoria inaspettata dei Mondiali di Calcio e scudetto al Verona); catastrofi ecologiche (Chernobyl) e naturali (terremoto in Irpinia, esondazione in Valtellina). Nel mondo, il principe Carlo sposa la borghese Diana; in Cina, per la prima volta nella storia, c’è una protesta in piazza; Indira Gandhi viene uccisa; Gorbaciov seduce il mondo con la Glasnost /trasparenza nella politica e nella vita pubblica; esplode uno Shuttle in volo e cade il Muro di Berlino. Si rompono tabù, s’impongono nuovi modelli socioculturali e nuove forze politiche, come la Lega, salgono alla ribalta. Anche il monopolio televisivo pubblico viene fatto a pezzi e sul piccolo schermo compaiono cose mai viste prima: va in onda il primo “reality” televisivo (la diretta di 18 ore su Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano a Vermicino) e avviene la consacrazione della moda e della tv commerciale che educa a colpi di serial e telefilm facendo diventare ricchi con telequiz. 

 

Anni da «effetti speciali» li definisce Umberto Eco, dove l’economia si trasforma in finanza, gli impiegati iniziano a giocare in Borsa e la lotta di classe si trasforma in lotta per il possesso. Informazione e gossip, si mischiano e si confondono: onorevoli pornostar, televisioni a luci rosse, confessioni in diretta, monarchie in decadenza, politici con amanti e tangenti. 

E in tutto questo i giovani non si ribellano più ma, anzi, sembrano perfettamente allineati al sistema proposto dagli adulti. All’invasione britannica di dark, new romantic, metallari e punk, l’Italia – per prima Milano - risponde con il Paninaro nostrano, teen ager che ha come obiettivo il benessere a tutti i costi, all’insegna del “tutto, e subito, e senza fatica”. Per la prima volta la moda giovanile smette di identificarsi con oggetti generici (jeans, polacchini, giacca di velluto, eskimo, gonnellone) a favore di marchi (Timberland, Moncler, Burlington, EL Charro, Naj Oleari).

Chi è nato in quegli anni non ha fatto nessuna guerra, non ha partecipato a nessuno scontro di piazza, non ha visto nessuna impresa spaziale, non ha né vissuto il terrorismo, né votato per il referendum sull’aborto. Ma ha dovuto ben presto scontarsi con il falso mito della leggerezza.

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