
«Maya, oltre ad avere incarnato l’altra me, quella più autentica e riuscita, è stata la mia creatura-figlia, la prima anima a cui ogni giorno riservavo pensiero e cura. Con la sua scomparsa, si è frantumato di colpo il senso fondante del mio sguardo e del mio respiro». Così scrive Elena Mearini, autrice di un libro che - oltre ad essere l’epitaffio sgomento di una perdita - ci parla di un’uguaglianza stupefacente, quanto incomunicabile e terribile, tra noi e le bestie, tra chi apparentemente comanda e chi apparentemente obbedisce: cambia il punto di vista e cambiandolo scopre la fragilità d’ogni progresso, d’ogni civiltà, d’ogni cultura e della natura stessa così come la conosciamo: di ognuno di noi, d’ogni cosa nel mondo. Sia che si parli, sia che si abbai, la domanda in realtà è la medesima e non c’è semiotica o grammatica con cui sia possibile darle risposta: come possiamo tornare, da quale ferita si passa?
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