L'arte è un lavoro. Ma non come un altro

Mario Giusti

È possibile oggi fare un punto sull’arte, da cui partire per discutere del futuro stesso di questa?

Direi di no! Questo è il dato da cui procedere.

La vastità dell’universo che si definisce “artistico”, le multiformi presenze, la vacuità, la nullità e la droga con cui spesso si sviluppa questo mondo contemporaneo di collettori della forma, da piazzare prevalentemente in rete, ormai ha raggiunto proporzioni gigantesche e, con un’operazione di meraviglioso camouflage, giganteschi bidoni ed i loro autori ci circondano. Un esempio? Il mercato degli NFT (Non-Fungible Token), ultima diavoleria connessa alla rete.

Alcuni artisti sono altamente quotati per motivi ignoti; c’è poca sostanza, la ricerca è considerata una perdita di tempo e tutto si gioca sull’apparenza. Se non sei omologato, non arrivi, non ti considerano e questo è veramente un sovvertimento dell’arte. Vista globalmente, dal punto di vista di chi scrive, l’arte ha abdicato la qualità alla quantità, ovviamente ciò aiuta il mercato e i singoli conti in banca, ma distrugge l’educazione alla bellezza e all’osservazione della condizione umana, fattore indispensabile all’arte.

Voglio precisare che non condivido il pensiero che vede nell’intelligenza artificiale un pericolo per l’arte; un robot è sempre affiancato, se non guidato, dalla mano dell’uomo e le sue curiosità si esauriscono là dove arriva la conoscenza umana. Può generare attesa e speranze, anche bellezza ma è del tutto priva di quell’iskrà immaginifica che è il motore dell’arte.

D’altronde siamo circondati da una frenesia produttiva priva di fascinazione e pensiero perché il mercato è in grado di assorbire una quantità di lavori impensabile in altra epoca. In questo i mezzi di comunicazione, in particolare la rete, giocano un ruolo davvero importante, rappresentando la “galleria” più ricca e capillare, nessuno sfugge alla vita in rete. Mi meraviglio da solo da quello che sto scrivendo, da queste riflessioni che, in ordine sparso, non costituirebbero un problema ma se raggruppate danno un quadro preoccupante del futuro dell’arte.

È di questi giorni la notizia di un ricco e famoso imprenditore milanese passato a miglior vita lasciando un patrimonio di venticinquemila opere d’arte, la maggior parte comprata nelle famose televendite che andavano molto di moda trent’anni e passa indietro.

Pensate alla figura del Gallerista e a quell’universo di interazioni e funzioni che ha rappresentato nel mondo dell’arte, specialmente nell’ultimo secolo: esso ha sostituito chiese e mecenati, collettore di gioie e dolori ma fulcro della vita di pittori e artisti di vario genere, ebbene che fine ha fatto oggi?

Una ricerca di Nomisma ci dice che la pandemia ha avuto l’effetto di accelerare alcuni processi già in atto nel settore, come specializzazione e digitalizzazione. Negli ultimi anni, infatti, si è osservata una riduzione del numero di attori nel mercato a fronte di un aumento del fatturato complessivo. Nel 2019 operavano in Italia 1.667 gallerie, 610 unità in meno rispetto al 2011 però le transazioni sono balzate del 2% nello stesso periodo, con un aumento della quota di quelle digitali, passata dal 10% del 2015 al 70% del 2021. Se questo non la dice lunga…

 

Sistema frammentato

Cambiano dunque i parametri di sviluppo e giungono al pettine nodi e correlazioni di solito sottovalutati dall’intero comparto. 

Emergono sfide ineludibili per il prossimo futuro e per i prossimi governi, due fra tutte: una strategia di lungo periodo per la formazione a supporto dello sviluppo delle competenze e delle professionalità del settore (32 accademie e istituti di eccellenza, più di 2.200 studenti diplomati ogni anno) e un adeguamento del sistema fiscale e dell’eccessiva burocrazia relativa alla circolazione internazionale dei beni (in ingresso e in uscita dall’Italia) che costituisce uno dei principali elementi che limitano lo sviluppo dell’industria nel Belpaese. 

È ovvio, dunque, che si sia instaurato un sistema frammentato in miriadi di comportamenti fino al peggiore che vede il gallerista come un negoziante cui affidare, in conto vendita, le proprie opere senza alcun profumo di romanticismo, tanto il vero mercato lo fa la rete.

Un esempio colossale è la metamorfosi di artprice.com (il database più completo e aggiornato del mercato mondiale delle aste) in artmarket.com, diventata a tutti gli effetti una immensa piattaforma di vendita di opere online. Questo è uno dei segnali inequivocabili dell’ingresso ufficiale nel web del mercato dell’arte che nel 2019 ha superato i 70 miliardi di dollari e continua a macinare volumi sempre in crescita.

Questo comparto è particolarmente allettante in presenza della volatilità di altri canali, a cominciare dai mercati finanziari. Infatti, pur a fronte di una leggera contrazione del volume di vendite, anche l’anno passato, l’indice generale dei prezzi è aumentato di oltre il 5 per cento (quasi il 40 per il settore contemporaneo), evidenziando una reale crescita della domanda. Ma crescendo, la domanda diventa sempre più sofisticata ed esigente e chiede risposte chiare, rapide e al passo coi tempi. Risposte che i canali tradizionali faticano a soddisfare. È qui che entra in campo l’innovazione tecnologica, in grado di offrire le soluzioni e gli strumenti necessari per soddisfare queste richieste attraverso l’utilizzo della rete.

Il target di riferimento dell’acquirente d’arte online ha una la composizione trasversale ed eterogenea: si va dalla generazione digitale alle prime esperienze, al collezionista tradizionale. Secondo il report 2019 Hiscox online art trade quasi il 25 per cento dei millennial che oggi collezionano, prima di acquistare arte nel web non aveva mai comprato opere: né in galleria, né in un’asta, né nella miriade di fiere che popolano il pianeta. E inoltre ben il 30 per cento dei collezionisti di nuova generazione dichiara di preferire gli acquisti online a quelli tradizionali (nel 2017 erano poco più del 10 per cento). Di questi, circa l’80 per cento rivela di aver fatto, nel 2021, più di un acquisto di opere online (+ 20 rispetto al 2019). Se non è un de profundis per il mondo delle gallerie poco ci manca. 

Insomma siamo di fronte a una forte confusione di ruoli, sentimenti (indispensabili per chi compra) e comportamenti d’acquisto unitamente a un’analisi del mercato che non trova punti di riferimento costanti ma anzi è in continua evoluzione. 

 

Trasparenza e fiducia

Sappiamo che Il valore medio degli acquisti online rimane ancora piuttosto basso, principalmente opere attorno ai 5-10 mila dollari, e che negli ultimi anni il web sta conquistando anche i cosiddetti big spender del mercato dell’arte. Grandi collezionisti che cercano sempre di più informazioni in rete e sono proprio loro che spendono più di 100 mila dollari all’anno in arte passando più tempo sulle piattaforme online. Il 47 per cento di loro ha anche dichiarato di aver fatto acquisti online negli ultimi 12 mesi. Nel 2020 questa percentuale era del 30.

Investimenti tecnologici a parte, che stentano a decollare soprattutto nel settore delle gallerie e in particolare in Italia, la grande sfida per il business online dell’arte rimane la costruzione di un solido rapporto con i clienti basato sulla fiducia. Non è un mistero che la maggioranza delle persone che compra arte online, infatti, vede nella difficoltà di conoscere la reputazione del venditore il più grande ostacolo, assieme alle problematiche legate all’autenticità dell’opera e alla visione fisica delle stesse. Quella della fiducia è, quindi, una sfida che riguarda in primo luogo le piattaforme online, mentre quelle legate a realtà fisiche hanno gioco più facile, vivendo della reputazione consolidata che hanno alle spalle. 

Ma, tra i fattori chiave che determinano il successo o meno del mercato online ci sono anche: la trasparenza dei prezzi e le informazioni relative agli artisti e alle opere. Due punti, questi ultimi, che vedono le gallerie decisamente carenti. Anche quando decidono di atterrare su piattaforme potenti come Artsy.

Il futuro dunque è davvero poco prevedibile se immaginato con i sistemi tradizionali ma, soprattutto, l’evoluzione dell’arte non avrà più i tempi della sua storia precedente. È troppo affermare che da sessant’anni abbiamo un’arte che è sempre uguale? Come afferma Emilio Isgrò, il grandissimo artista della cancellatura: «Lo dico con il massimo rispetto, ma ho il sospetto che da Andy Warhol e Jeff Koons la musica sia sempre la stessa!». Io immagino nei prossimi decenni la formazione di una costellazione che attiri a sé collezionisti e curiosi, appassionati e interessati speculatori che cercheranno disperatamente l’unico vero grande valore universale dell’arte: la durata nel tempo.

 

Il cliché dell’artista

È pur vero che anche gli artisti veri e viventi esistono ancora, in particolare nella pittura, che qui è quella che ci interessa di più e, partendo da loro, affrontiamo i modi di cui possiamo avvalerci per giudicare, apprezzare e scegliere un’opera d’arte.

Cominciamo col riconoscere il primo indiscutibile dato: l’arte è un lavoro, in tutti i sensi e con tutte le implicazioni che questo comporta. Senza ricorrere a grosse interpretazioni ma rifacendosi alla più essenziale delle categorie, quando un’azione dell’ingegno umano è pagata è un lavoro. 

Potremmo sforzarci di approfondire allargando questo concetto di categorie: diciamo che l’artista può essere un dilettante o un professionista, tutto senza minimamente riferirsi alla qualità dell’opera. Per inciso, la storia ci ha insegnato come quest’ultima affermazione abbia subito radicali mutazioni nel corso delle epoche e del cambiare dei gusti estetici.

Tutta quella letteratura che vuole l’artista come un essere diverso, che non osserva un normale rapporto con la società ma ne sia anzi un nemico è paccottiglia per rotocalchi che misura una conoscenza superficiale dell’arte e degli artisti. Cinema e televisione hanno preso alcuni personaggi che vivevano una vita difficile ed emarginata e ne hanno fatto un cliché privo di originalità ma facile da essere digerito dal pubblico, da quella società stregata dai media spesso superficiali e interessati a vendere copie e fare audience. Raramente ci viene descritta quell’interiorità complessa che genera il pensiero artistico, il conflitto tra ciò che si vede e ciò che si agita nella mente dell’individuo e, se questo è vero per tutti gli umani, diventa macroscopico per un artista. Uno dei pensieri più frequenti è che egli voglia campare con ciò che dipinge, che sia dunque lui il primo a considerarlo un lavoro che gli permetterà di progredire con quella che, prima di tutto, è una passione.

Ma, come sempre, tutto è molto più facile e complicato al tempo stesso. Ammetto che gli artisti siano spesso strani, alla ricerca di forme di originalità vitalistica con le opere d'arte che realizzano, indispensabile per offrire una visione diversa della realtà, creando un contrasto con la nostra capacità di accettazione della stessa. Al tempo stesso però la loro fantasia, armata di una libertà espressiva da renderli paladini del vivere civile, è spesso al servizio di nobili cause e denuncia realtà di degrado sociale e morale. 

 

Due esempi per tutti

Mi vengono in mente due esempi iconici di questo pensiero: Il quarto stato di Pellizza da Volpedo, realizzato nel 1898 che è esposto alla galleria d’arte moderna di Milano. Un gruppo di lavoratori sta protestando all’interno di una piazza e la loro marcia si muove lentamente, sicura della propria vittoria. In primo piano ritroviamo due uomini e una donna con un bambino piccolo in braccio, appare scalza mentre invita i manifestanti a seguirla. Questo quadro esprime con forza i diritti civili dei contadini, in una situazione molto realistica. La manifestazione si svolge con pacatezza e questo traspare dalla naturalità del movimento degli astanti e anche dalla presenza dei bambini che li accompagnano.

Poi c’è il famoso murale provocatorio di Banksy, Il bacio dei poliziotti, un messaggio di libertà contro l’omofobia, realizzato nel 2004, che ha creato molto scalpore. Qui l’immagine vuole ritrarre l’omosessualità contrapposta nei confronti dell’autorità con una rappresentazione che spinge a una forte riflessione il pubblico che la guarda, dove è ritratta l’omosessualità in ambito militare. L’opera è diventata il precursore dei graffiti che l’autore ha poi effettuato sul muro che divide Israele dalla Cisgiordania. Qui Banksy disegnò dei bambini che perquisiscono alcuni poliziotti. Egli è infatti grande sostenitore da sempre di libertà e di messaggi contro la guerra e il razzismo.

Arrivati a questo punto è un dovere affermare quanto detto in premessa, ogni pensiero ha uno sviluppo tale di argomenti correlati che forse è meglio sfuggire da definizioni geometriche dell’arte e dei suoi mondi. L’unico punto fermo, fatta piazza pulita degli improvvisati e dei dilettanti, è che il pittore e la sua arte sappiano molto bene cosa significhi libertà d’espressione e quanto questa si porti dietro, a cominciare dalla professionalità, dallo studio e dal rispetto per il proprio lavoro.

Alla fine sono uomini normali, si svegliano, fanno colazione, portano fuori il cane e si mettono al lavoro, poi pranzo, lavoro, riportano fuori il cane e cena ma prima di dormire ripassano come un mantra la loro consapevolezza….   essere diabolici portatori di una parte importante del bello della vita.

 

arte lavoro 01
arte lavoro 02