L'attivismo gentile della Generazione C

Emanuele Bompan

«Passa la colla, dai dai». Sono momenti concitati. «Srotola lo striscione», intima una delle due ragazze, camicia leggera, gonna corta e volto deciso. Lui, 20 anni, piegato sul ginocchio incolla la mano destra sul vetro. Lei lo segue, mettendosi nella stessa posa plastica. Sotto il vetro risplende la Primavera del Botticelli. Fuori c’è la canicola, è il 20 luglio 2022 di un’estate riscaldata all’eccesso dal cambiamento climatico. Si suda persino dentro gli Uffizi. I tre attivisti srotolano uno striscione che urla “Ultima Generazione No Gas No Carbone”. Qualcuno protesta: «Ma cosa fate?». Si ingrossa il capannello di fronte ai due ragazzi incollati al vetro dell’opera d’arte «per salvare il futuro dell’umanità». Qualcuno applaude. La tensione sale. Arrivano le guardie del museo, rimuovono la ragazza più giovane con brutalità tipica dell’autorità maschile. Pare un abuso contro la bellezza della protesta, risplendente come il Botticelli. Per qualcuno è vero l’opposto.
In meno di un’ora il video fa il giro del mondo scandalizzando il mondo piccolo-borghese che si indigna. «Avranno rovinato l’opera!»; «ma non si protesta così, rovinare l’arte, certo il cambiamento climatico è una questione importante, però…». Si rovina la causa ambientale, chiosano le anime belle dell’ambientalismo da salotto, chi si vorrebbe mettere contro l’arte? L’azione confonde, divide, fa parlare, apre riflessioni. È l’effetto inevitabile dello sconquasso della normalità.
«Al giorno d’oggi è possibile vedere una Primavera bella come questa? Incendi, crisi alimentare e siccità lo rendono sempre più difficile» scrivono i ragazzi di Ultima Generazione, movimento di azione nato da una costola di Extinction Rebellion, movimento attivista ambientalista. «Abbiamo deciso di usare l’arte per trasmettere un messaggio d’allarme: stiamo andando verso un collasso ecoclimatico e sociale. Presto torneremo nei musei di Firenze, Venezia, Milano e Roma» annunciano. Presto la protesta dilaga oltralpe, alla National Gallery su Van Gogh, al museo Barberini di Postdam su Monet. Si bloccano strade e piste di decollo dei Jet privati. Si scende in strada per il Negoziato ONU sul clima, COP27, mentre in Egitto la polizia reprime ogni possibile manifestazione al di fuori del convention center di Sharm-el-Sheikh. 
Ma ci sono anche sit-in, conferenze, incontri. Qualsiasi cosa pur di portare l’attenzione sul tema chiave della Generazione C, la generazione clima, quella che ha messo per la prima volta l’ambiente e il clima come priorità politica assoluta. Un ambientalismo scientifico, pacifista, inclusivo, rispettoso dei diritti delle minoranze e delle popolazioni indigene, post-ideologico, per molti versi distante dai padri legambientini e dalle militanze “no nucleare” o “stop-CocaCola”.
La Generazione Clima non vota Verdi, non ha chiara collocazione politica, non sostiene a priori le associazioni ambientaliste storiche (che qualcuno definisce sorpassate), è sparpagliata e multiforme. È moltitudine, anti-neo-liberista ma non espressamente di sinistra, è nativamente social e digital. 
Ma, soprattutto, è dannatamente viva.

Felicemente disorganizzati
È dai tempi del G8 di Genova che mancava in Italia un grande movimento politico giovanile, sfaccettato, diffuso, trasversale. Lasciate alle spalle le lotte sociali degli anni Settanta, le proteste contro la globalizzazione neoliberista di fine anni Novanta (l’altermondialismo, le cattive banche di sviluppo multilaterali, la guerra in Iraq e Afghanistan), la questione di oggi è il futuro del pianeta, tra crisi della natura e crisi climatica. Il futuro che promettiamo alle giovani generazioni è fatto di ondate di calore mortali, di siccità cronica, di instabilità geopolitica causata da mutazioni climatiche, della sesta estinzione di massa delle specie, di perdita della fertilità dei suoli e crisi alimentari. Non sono suggestioni di filosofi e profeti di sventura, bensì scenari probabili corroborati da una massiccia dose di consenso scientifico, convalidato da prove inconfutabili. Al posto di Marx, Adorno, Chomsky, nel gotha dei pensatori di riferimento ci sono gli scienziati dell’IPCC, il panel intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, e dell’IPBES, Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services. Al posto di Toni Negri, Naomi Klein o Dolores Ibárruri ci sono Greta Thunberg, Micheal Pollan e il climatologo Luca Mercalli. Niente tazebao, ma un sacco di green influencer su Instagram e TikTok come Teresa Agovino o Alice Pomiato. Niente Partito (e Rifondazione) Comunista, ma Fridays For Future, Ultima Generazione o movimenti vegan. Sono felicemente disorganizzati ma parlano all’unisono, forti di un grande sostegno dal mondo scientifico e anche da quello della green-economy che li corteggia con attenzione.

Action!
Una fetta della Gen C ha deciso che senza azione diretta non si può accelerare la transizione ecologica. Governi e imprese sono troppo lente, non ascoltano. L’azione diretta ecologista, trova le sue tracce nel North-West americano, nel libro del 1975 di Edward Abbey, The Monkey Wrench Gang, la banda della chiave inglese, racconto delle vicissitudini di quattro attivisti ambientali che si adoperano per sabotaggi ecologici diffusi ai danni di cattive corporations. Una suggestione letteraria che ispirerà l’azione dell’Earth Liberation Front, solitamente citato con l'acronimo ELF, un movimento eco-terrorista radicale e internazionale a carattere clandestino che nasce in seguito ad una scissione maturata in seno ad Earth First. Mette radici in Oregon, dalle parti di Portland, negli anni ribelli del grunge. Porta a segno numerose azioni di sabotaggio in tutto il Nord-Ovest, incendiando segherie e sabotando attrezzature per il taglio della legna, liberando animali imprigionati e sabotando veicoli. Sebbene condannata come organizzazione terroristica dal FBI, l’azione del gruppo porta grande visibilità sui temi di deforestazione e la devastazione dell’ambiente. Ma soprattutto fa capire che l’azione diretta deve essere pacifista e legale. La clandestinità ha solo l’effetto di radicalizzare e allontanare la società civile.
Vent’anni dopo l’ELF nasce 350.org: è il primo gruppo di giovani attivisti per il clima, questione che non aveva mai avuto un’organizzazione dedicata. Ma la crisi avanza e i tempi sono maturi. 350.org viene fondata nel 2007 dal giornalista Bill McKibben con un gruppo di giovani attivisti e ricercatori californiani e del Vermont. Era il 2009, quando visitai in California il loro piccolo ufficio per spingere le prime campagne di protesta contro gli oleodotti in North Dakota (il famigerato Keystone XL) che negli anni successivi ispirarono campagne di azione per il clima in tutto il mondo. Il nome è dovuto a uno studio dello scienziato James E. Hansen del "Goddard Institute for Space Studies" della NASA, secondo il quale 350 parti per milione di CO2 in atmosfera sarebbero il limite massimo per evitare seri rischi per il genere umano. Oggi ci sono ben 300 associazioni giovanili che si riconoscono parte di quel movimento. In Italia 350.org ispira la nascita dell’affiliata Italian Climate Network, ideata da un piccolo gruppo di ventenni, tra i quali Federico Antognazza, Veronica Caciagli e Federico Brocchieri, soliti a darsi appuntamento in birrerie e bar senza una precisa affiliazione politica, molta divulgazione e tante azioni simboliche, preferite alle proteste con azione diretta. Tocca ad Extinction Rebellion e poi Ultima Generazione a riportare in auge le blockade, il blocco delle autostrade e l’assalto alle opere d’arte. Due posizioni diverse, un unico obiettivo. 

Attivismo gentile
Si diceva prima che la Generazione Clima ha i suoi miti negli scienziati, come James Hansen, Stefano Caserini, Jane Goodall e in figure iconiche come Greta Thumberg, grande simbolo della protesta per il clima, che ha sempre indicato la stella polare della scienza e della climatologia per le sue proteste di venerdì davanti a scuola che hanno dato vita ai Fridays For Future. Un vero movimento, senza testa e con portavoce rotanti che hanno visto in Italia emergere figure di tutti i tipi dalle attiviste vicini ai centri sociali come Martina Comparelli, politica nata, ai divulgatori di impatto come Giovanni Mori, fino a figure che hanno usato il movimento per farsi autopromozione come Federica Gasbarro, ribattezzata la Greta Italiana, tre libri pessimi all’attivo e una reputazione distrutta dopo una fallimentare campagna con Luigi Di Maio. Al momento rimangono un’entità fluida, senza un programma o una struttura, che sta però lentamente esaurendo la propria allure, specie a fronte del recente disimpegno di Greta Thumberg, concentrata sui suoi studi e la sua vita personale («è tempo che qualcuno prenda il mio posto» dice passando indirettamente lo scettro all’attivista kenyota Vanessa Nakate). Alla Youth4Climate, un negoziato sul clima per i giovani organizzato nel 2021 dal governo italiano e UNDP a Milano, si è colta però la grande vivacità del mondo associazionista e attivista italiano anche al di fuori dei Fridays. Oltre la folta delegazione di Italian Climate Network, che spinge sempre più sulla formazione nelle scuole e nell’acculturamento sulle questioni climatiche, nuovi gruppi hanno fatto capolino, dalle ragazze di Change for Planet al team di United Mountains of Europe ai giovani Verdi come la brava Francesca Cucchiara. Social media ma anche tanti libri, attivismo non violento, formazione e momenti di condivisione, nomadismo digitale. E persino l’arte, dalla letteratura solarpunk (con la devastante scena iniziale di The Ministry of Future) ai fumetti, passando per la musica (All the Good Girls go to Hell di Billie Eilish) e il cinema (il titolo di riferimento è Don’t Look Up) stanno aprendosi alla crisi climatica e ambientale. Il fermento è destinato a crescere come un’onda. 
Protesta, cultura, azione diretta, social media, educazione, scienza: il mix della Gen C è pronto per raggiungere il main-stage. Scommettiamo?

 

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