La ricca Milano espelle gli abitanti

Rosario Pantaleo

L’invenzione di Milano è un titolo intrigante. Ma dato che la città è stata inventata già da tempo, a quale particolare invenzione ti riferisci?

All’invenzione di una città - quella del dopo EXPO, per capirsi - che non vuole più apparire come produttiva e lavoratrice ma al tempo stesso ricca e accogliente, competitiva e democratica, lussuosa ma generosa, seria ma trasgressiva, cementificata ma green. Invece è una fabbrica di disuguaglianze, un paradiso fiscale dell’immobiliare che concentra la ricchezza ed espelle gli abitanti, come è ora evidente a tutti.

Una forte critica a quella che viene chiamata rigenerazione urbana è relativa alla finanziarizzazione del sistema che la sorregge oppure alla creazione di una dinamica di crescita del costo dell’abitare?

Le due cose sono perfettamente complementari. La rendita finanziaria e la vecchia rendita si alimentano a vicenda. È urgente contrastarle con ogni mezzo.

Dalla lettura del libro la critica alla dinamica di governo della città è molto aspra. Quali, in sintesi, i punti focali della tua analisi e quali, a tuo avviso, gli strumenti/azioni da attuare per sovvertire questo stato di cose?

Chi governa la città da anni ha scelto di rinunciare a pianificare l’economia, l’urbanistica, il welfare in nome dell’interesse pubblico, delegando sempre di più ogni responsabilità al privato e al privato sociale, autolimitando le prerogative della politica e dell’amministrazione e stravolgendo il loro ruolo fino a trasformarlo in pura facilitazione (rimozione di ostacoli) degli interessi privati. Abbiamo innumerevoli esempi di questo atteggiamento, dalla vicenda di San Siro ai mille patti di collaborazione e convenzioni attivati per sgravare l’amministrazione dalla manutenzione di aiuole, parchi e giardini. Dalla privatizzazione di piscine, biblioteche e servizi pubblici a quella, macroscopica, delle case popolari, presentata dall’assessore Maran come un piano progressista. Il primo obbiettivo è costringerli a riprendersi la proprietà e la gestione del welfare pubblico e ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte attraverso una pianificazione leggibile, e non una selva di bandi e progettini pubblico-privato incrociati. 

Giudichi negativamente anche il sistema delle “week”, dedicate a varie attività, che hanno invaso la città. Eppure molti cittadini sono contenti di questa vivacità: a tuo avviso, invece, perché non dovrebbero apprezzare questa dinamica?

Forse perché questi eventi sono sempre più palesemente privi di contenuti dotati di senso?

Disapprovi la “città turistica”, eppure, grazie al turismo, molte sono le dinamiche commerciali che portano attività, lavoro, remunerazione. A tuo avviso cosa non funziona in questo settore?

Remunerazione a chi? Ormai lo sanno anche i sassi che a fare i camerieri e gli accompagnatori si resta precari, sfruttati e sottopagati. L’indotto del turismo non finisce neppure veramente nelle tasche di ristoratori e albergatori, ma per la grandissima parte solo in quelle dei renter, dei proprietari dei piano terra o dei palazzi, e naturalmente delle piattaforme. Falliscono ristoranti grandi e piccoli, vecchie botteghe e grandi catene. Basta insistere ancora con il mito dello sgocciolamento.

Una forte critica arriva anche nei confronti del sistema universitario come fagocitatore di illusioni e creatore di ricchezza che rimane all’interno del suo sistema. È così, oppure la questione è molto più ampia?

Come in altri paesi europei il nostro sistema universitario si è espanso costantemente in termini di risorse, sedi e numero di studenti fino all’inizio di questo secolo, poi ha cominciato a subire tagli. Ma la cosa più grave è che il disinvestimento nella ricerca e nel ruolo di ascensore sociale dell’università è avvenuto non in maniera uniforme, ma ancora una volta, e nel modo più stupido, su imitazione del modello competitivo americano. Avevamo ottime università in tutta Italia, poi è cominciato il mantra dell'eccellenza, della valutazione e delle classifiche e gli atenei hanno cominciato a strapparsi gli studenti - ridotti a puro capitale umano per ottenere finanziamenti e da giocare sullo scacchiere urbano come attori della gentrificazione – l’uno con l’altro. Studenti e famiglie hanno cominciato a illudersi che l'unica chance per costruire un futuro fosse investire su Milano o su qualche altro “polo eccellente” accettando qualsiasi condizione come succede negli USA, dove si indebitano fino alla morte e il sistema è più classista che in qualsiasi altra parte del mondo. Da qui il problema del sovraffollamento studentesco, dello strozzinaggio sulle case e le stanze, per poi scoprire che dopo la laurea solo pochissimi riescono a ottenere dei lavori sufficientemente stabili e ben pagati da permettergli di rimanere in città.

Milano come merce? Milano come creatore di illusioni? Milano destinata subire il contraccolpo di una futura bolla immobiliare…?

Di sicuro Milano è riuscita a creare l’illusione di essere un posto desiderabile in quanto fucina di possibilità per tutti, mentre dimostra ogni giorno di più che riserva qualche chance solo ai più agiati. Ma più che dalle bolle immobiliari mi sa che il pericolo viene dall’immiserimento culturale, lavorativo, che la prossima crisi economica non potrà che peggiorare. 

Anche la "partecipazione cittadina", a tuo avviso, non sarebbe propriamente soddisfatta dalle giunte di Palazzo Marino. Dove trovare la ragione di questa tua osservazione? 

Dalla Giunta Pisapia in poi la partecipazione è diventata una triste messinscena utile solo a catturare e mimare il consenso. L’associazionismo è imbrigliato in un sistema di bandi a breve termine e burocrazia complessa che da un lato erode la sua stessa capacità di continuare a fare bene quello che ha sempre fatto, cioè costruire solidarietà, e dall’altro depoliticizza la sua azione e il pensiero che produce, perché pretende un forte contributo in “buona comunicazione” e rappresentazione di una cittadinanza attiva e positiva, mai conflittuale. 

La città è in continua modifica e in molti ambiti vi è la presenza di cantieri edili, siano questi per i bonus edilizi sia per nuove costruzioni. Dalla lettura delle pagine dedicate a questo tema forte è la critica a queste trasformazioni, escludendo, ovviamente, il 110%.

No, il 110% non è affatto escluso, perché contrariamente agli obiettivi che si proponeva (risparmio energetico) ha prodotto cantieri in larga parte inutili: proprietari che per rifarsi le facciate aumentando così il valore del loro stabile hanno buttato a discarica caldaie, infissi, pannelli appena installati; hanno imbottito facciate di plastica che tra vent’anni sarà da buttare e rifare; hanno piazzato pompe di calore mal collegate. Tutto con soldi pubblici che potevano essere spesi per manutenere edifici pubblici, infrastrutture, territori, per assumere personale in grado di controllare, gestire, amministrare l’esistente a consumo di suolo ed energia quasi zero. Non si vuole capire che il modello di crescita è ormai completamente obsoleto: abbiamo ancora un ceto dirigenziale e politico che pensa di potere abbattere e ricostruire stadi, case, uffici, grattacieli, consumare campagna e aree verdi per costruire autostrade e ponti e piste da sci e chiamare tutto questo sostenibilità, coesione sociale e transizione ecologica. 

Quale il tuo sguardo sulla questione Olimpiadi, eventuale nuovo stadio di calcio, aree ex scali ferroviari?

Mi sembra inutile precisarlo. I grandi vuoti urbani dovrebbero essere lasciati alla rinaturalizzazione, o aperti alla fruizione pubblica senza alcun intervento privato come l’ex aeroporto di Tempelhof a Berlino. 

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L’invenzione di Milano offre spunti di riflessione e tante le dinamiche su cui porre l’attenzione. Ma vale la pena leggere questo libro sia per porsi domande sia per cercare soluzioni sostenibili in un tempo così complesso dove ogni scelta può essere determinante, nel tempo, per la vita di centinaia di migliaia di persone.

 

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