Una legge e un giudice anche per gli animali?

Massimo A. Chiocca

La questione ecologistica era già in primo piano. Rappresentava, infatti, un interesse fondamentale: le condizioni di vita sono determinate dall’habitat circostante. Ovvio.

Ma ora anche gli animali hanno trovato tutela diretta: menzionata tra i principi fondamentali costituzionali. Gli animali sono poi qualificati come esseri senzienti dall’articolo 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. 

Ora, dunque, l’animale non è più una res da Codice Civile. Non è più il sentimento di pietà, che si deve ad ogni essere vivente, ma è quello di affetto a giustificare la sanzione penale per chi sevizia o maltratta. 

Ora, viene garantita piena tutela a questi soggetti non-umani - alla loro incolumità psico-fisica - così prossimi a noi perché dotati di ragione e volontà e capacità comunicative. Insomma, è solo questione di sviluppo e di quantità, non di qualità - dice Darwin. Tuttavia…
La tendenza fu sempre quella di umanizzare gli animali. Una lunga aberrazione del pensiero, parrebbe. Così, sembra aver ragione Carlo Lessona quando in Giurisprudenza Animalesca ritiene, nel 1909, che l’antropomorfismo derivi da un eccesso di “amor proprio”, tipico dell’uomo.
Ovunque l’uomo vede se stesso. “L’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio” si legge nella Genesi. E, a sua volta, crea incessantemente idola equivalenti. Crede - presuntuosamente - che la natura sia fatta per lui e dimentica che invece potrebbe imprimervi una “orma putrida”, come scrive Dostoevskij ne I fratelli Karamazov.
Ecco, dunque, una possibile origine delle favole - che perseguono, e sovente, anche uno scopo moralizzatore; ma anche dei processi contro gli animali.
Secondo una certa aneddotica vi sarebbero state oltre 150 cause a carico di animali tra l’800 e il 1830, con tanto di testimoni e avvocati d’ufficio.
Si diceva: se l’animale compartecipa alla Natura ha modo di conoscere il Diritto Naturale; è in grado di distinguere il bene dal male. L’animale non ragiona come l’uomo, ma elabora un pensiero in modo sufficiente e sufficientemente libero per poter comprendere se ricevere premi o castighi, che potrebbero regolarne la condotta. Come dimostrerebbero i delitti dell’orango del Borneo, nella Rue Margue, generati dal timore di una punizione ad opera del suo ottuso padrone. Comunque, dovrebbe essere punito l’animale che esca dalla sua via naturale e di cui è esperto. Ecco quindi giustificata la sua capacità di stare in giudizio; la sua capacità di essere imputabile; e pure la sua capacità di deporre. Come sembra esser accaduto a Nanterre, quando nel 2008 un cane ha testimoniato, su mandato di un giudice, per verificare le reazioni del “teste” davanti ad un indagato d’omicidio - e sembra che abbia abbaiato.

 

Poi arrivò Lombroso


L’Uomo delinquente è una celebre opera di Cesare Lombroso. Il delitto è un fenomeno determinato da motivi empiricamente rilevabili; non è una manifestazione libera e responsabile. Nell’applicazione della pena, pertanto, non si deve considerare la responsabilità del delinquente, ma la sua pericolosità, intesa come probabilità di commettere fatti delittuosi. Lombroso elaborò la teorica per cui l’origine del delitto sarebbe risalente ai connotati naturali dell'uomo delinquente, differente da quello normale, perché affetto da anomalie, fisiche o psichiche, che danno luogo, appunto, a comportamenti devianti. La Scuola Positiva - rivista fondata da Lombroso nel 1891 assieme al criminologo Enrico Ferri - ritornò sull’argomento: perché se il delitto prescinde da ogni idea di responsabilità, delinque anche l’animale, il quale non è suscettibile di alcun “perfezionamento morale”. Insomma, poiché la natura è a-morale (non ha coscienza, né intende costruirsi alcuna personalità artificiale, né concedersi un sacrificio), ne segue che l’azione dell’animale ben possa configurarsi come delittuosa: un toro che ferisca a cornate; una scimmia che rubi; un orso che sbrani un turista.
Da qui, la considerazione dell’eliminazione fisica come efficace strumento teso a preservare la società - una sorta di legittima difesa - da tutto ciò di nocivo, animali compresi. 
Il “giusto processo” dovrà essere imperniato, unicamente, sull’accertamento del fatto e sulla figura del “reo”. Ma nessun vincolo di indagine, per il giudice, sulle responsabilità. Si sosteneva.
D’altronde, è lo stesso giudizio che subisce Pinocchio quando, derubato di alcune monete d’oro, si reca dal giudice, un gran scimmione; il quale, dopo averlo ascoltato, lo condanna - parte lesa sì, ma pur sempre burattino - alla prigione; da cui uscirà, dopo essersi dichiarato “malandrino”.
L’episodio gioca sui giudizi di valore, legati all’apparenza dei fatti - e a una dominante label-culture - e ci riporta alla casualità del sistema giudiziario.
I tempi sembrano quelli in cui imperversino decisioni autoritarie; figlie, sempre più, di regole tecniche, che enunciano e definiscono “soluzione tecniche”; che si adattano al caso pratico, ma non lo regolano. La norma tecnica è incestuosa: rappresenta un’applicazione di una soluzione legale, ma non fornisce alcuna disciplina giuridica. Paradossalmente, lo stile del diritto va ad accostarsi a quello della natura, dove non c’è mezzo e non c’è fine.
La natura ignora i concetti di buono e cattivo, non giudica, e non fa sconti (debitamente amplificato, l’affaire covid lo ha rammentato alla razza umana). La natura esiste e si manifesta anche attraverso l’imprevedibile; in quel suo perimetro vige un congegno di violenza non crudele; perché la crudeltà è propria dell’uomo: è infliggere un danno, far soffrire, sapendo o dovendo sapere di far soffrire, come dice Luigi Lombardi Vallauri nel suo libro, drammatico, Crudeltà.
Così, oggi, se una valanga travolge e uccide, non poche voci si levano e condannano a morte anche la montagna. Lo si vorrebbe, anche perché indagare su “elemento soggettivo”, “causalità” e “funzione riparativa della pena”, significa allontanarsi, mentalmente, da una concezione dell’esistenza tipicamente occidentale, intesa come progresso, anziché come ciclo, dove gli eventi si dischiudono con l’esplicitarsi dell’implicito. E anche come nemesi. Meglio, quindi, un puro e semplice gesto: di eliminazione fisica, oppure di indifferenza; come ci ricorda E.B. Pasukanis, teorico della dottrina penale comunista, coinvolto nella repressione staliniana e sparito senza lasciare tracce.
Orsi, lupi, squali e falchi, sono come montagne, oceani, cieli.

 

La ragione è sovversione


Ci rammenta il filosofo tedesco Max Horkheimer che: “La ragione è sovversione”.
Oggi, gli animali non si processano più, ma non si nega che possano “delinquere”; e - in ossequio alla Scuola Positiva - se sono pericolosi, si devono “abbattere direttamente”, come inneggiato per questioni elettorali con riguardo a  JJ4 - l’orsa responsabile dell’uccisione del runner in Trentino la cui vicenda ha dato spunto a questi pensieri sparsi - il tutto, nonostante le garanzie costituzionali. Altrimenti sono “merce”; anche e soprattutto nell’illuminata Europa.

Dunque, il 99% dei geni che condividiamo con lo scimpanzé reclamerà sempre i suoi diritti. Non è detto che sia un male. Ma l’1% residuo ha una potenza infinita: è la capacità di pensare razionalmente, sovvertendo l’insieme dei processi ricorrenti.
È il «No!» urlato da Cesare ne Il pianeta delle scimmie. Una parola che racchiude il nucleo della sua coscienza di essere animale, diverso dall’uomo, ma anche più umano. «Cesare è a casa», ora Egli sa chi è.
L’ultima scena vede Cesare sulla sequoia più alta, da cui scrutare l’urbe. E rivolgere un ultimo sguardo a chi era stato il “suo padrone”. Però non è più un atto di sudditanza. È piuttosto l’indizio di un’emancipazione. 

Questa volta non è detto che sia fondata sull’amore.