«Cos’è il genio?» chiede il Perozzi in Amici miei. «È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione» si risponde. Il genio, se permettete, è anche 1/3 di gin, 1/3 di bitter Campari, 1/3 di vermouth rosso, una scorza di arancia (o limone) e ghiaccio. Una ricetta elementare che tutti - senza essere grandi barman - sono in grado di replicare. È il Negroni, “la perfezione” all’interno di un bicchiere, tumbler basso, mi raccomando. Che questo cocktail rappresenti la perfezione è risaputo da anni. È la fine degli anni Venti e il Conte Camillo Negroni, eclettico nobile fiorentino che ama la bella vita, è appena tornato dall’America dove per un po’ di mesi ha giocato a fare il cow boy. Da vero nobile e uomo di mondo, il Conte Camillo non ama lavorare e passa le giornate con gli amici alla Bottega Giacosa, in via de’ Tornabuoni, a Firenze. Stufi di bere vermouth o bitter nel tardo pomeriggio, tra i gentiluomini va di moda di consumare l’Americano, cocktail che, a dispetto del nome, fa uso esclusivamente di prodotti italiani: bitter Campari, vermouth e una spruzzata di seltz. Sempre in cerca di novità e sensazioni forti, un bel giorno il conte Camillo dice a Fosco Scarselli, che non sarebbe corretto definire barman però sta dietro al bancone a servire da bere, che vuole irrobustire il suo solito Americano. La scelta del nobiluomo cade sul gin, un po’ per non rovinare quella splendida tonalità di colore rosso, ma soprattutto per alzare notevolmente il grado alcolico. Una semplice modifica, che aggiunge al drink una sensazione secca e pulita e ne esalta il sapore grazie all’inconfondibile gusto amarognolo del ginepro. Per qualche tempo la gente ordina «un Americano alla maniera del conte Negroni», ma ben presto al fido Scarselli ci si rivolge dicendo «preparami un Negroni». Il Negroni è un cocktail democratico e trasversale: il gin soddisfa il virile gusto maschile; la dolcezza del vermouth piace alle donne e, per via della sua anima profondamente italiana, scalda il cuore del conservatore nazionalista; ma - qualora non fosse disponibile il Mojito che piaceva tanto a Fidel – strizza anche l’occhio anche al compagno che in fondo a quel bicchiere rosso ci vede una sorta di passione socialista. Nel Negroni si trova sempre qualcosa di magico, di attraente, di sensuale. Anche quando è terminato, sarà per la fettina d’arancia o di limone da morsicchiare lentamente, oppure si resta incantati a guardare il ghiaccio che si scioglie che regala un liquido con sfumature che vanno dal rosa al rosso vermiglio. Un mix che ha sedotto il gusto della gente in ogni angolo della Terra al punto da diventare uno dei cocktail più bevuti al mondo. Ha un enorme successo soprattutto negli Usa, diventando negli anni Cinquanta uno dei drink preferiti nei transition bar, i cosiddetti bar di passaggio nelle stazioni ferroviarie. E anche la cultura s’è fatta sedurre: nel film tratto dalla novella di Tennessee Williams La primavera romana della signora Stone (1961) la protagonista si abbandona a un «magnifico Negroni per dimenticare e aprirsi ai giovani amori» e persino Ian Fleming, l’ideatore di James Bond, il protagonista del suo racconto Risiko diventa un ambasciatore del Negroni, tradendo così il must il bondiano Vodka Martini “agitato non mescolato”. Un fascino che non invecchia mai. A certificarlo è Drinks International, una sorta di Guida Michelin americana per barman, che per la prima volta ha pubblicato la classifica dei migliori cocktail del mondo: ebbene, il Negroni ha messo in fila Manhattan, Daiquiri e Martini Dry, che qualcosa di tricolore può vantare. E poi Whiskey Sour, Margarita, Sazerac, Moscow Mule e Mojito. Davanti c’è solo l’Old Fashioned, simbolo della scuola anglosassone, basata sul Bourbon. Non si poteva chiedere di più agli americani, che restano pur sempre dei grandi nazionalisti. Il Negroni può vantare di essere uno dei pochissimi cocktail internazionali ad avere una composizione mai messa in discussione e delle varianti che non hanno (quasi) mai modificato lo spirito e la sua forza originale. La più famosa è il Negroni Sbagliato, creata negli anni Sessanta da Mirko Stocchetto, barman del Bar Basso di via Plinio a Milano. La celeberrima sostituzione del gin con spumante brut non è stata studiata: Stocchetto, in realtà, prende una bottiglia per un’altra e, pensando di versare il primo come da ricetta canonica, aggiunge il secondo. Si accorge subito dell’errore e avverte i clienti, fortunatamente frequentatori abituali del bar: «No, non bevetelo, mi sono sbagliato!». Loro lo vogliono assaggiare ugualmente e restano sorpresi del gusto. Ottimo, un mix che ha una sua personalità e diventano testimonial nel nuovo cocktail. La seconda variante nasce a Roma in occasione del Giubileo del 1950: qui il barman dell’Hotel Excelsior decide di dedicare un cocktail a un cardinale, cliente abituale e consumatore di Negroni, sostituisce il Martini rosso con il Dry e lo chiama, appunto, Cardinale. Da qui in poi la lista si allunga. C’è il Negroski, con la vodka al posto del gin; il Negroni Insolito con gin, Americano Cocchi, China Clementi e una guarnizione di chicchi di caffè; il Western Style Negroni con bourbon Wild Turkey al posto del gin e gocce di bitter al cioccolato. Per fortuna al conte Camillo questa lista resta sconosciuta. Oltre che un ottimo cocktail resta una comoda e veloce soluzione per chi cerca innocenti evasioni: nel bicchiere - a parte l’arancia - tutto è alcolico. E dopo il terzo - se non guidi - la vita comincia a sorriderti.
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