In quasi tutti gli album di famiglia c’è un’immagine quadrata, incorniciata di bianco, uscita decine di anni fa da una scatola nera, di plastica. Be’, sappiate che queste immagini quadrate, ma soprattutto la scatoletta nera di plastica che le sputava, è stata apprezzata non solo dai noi dilettanti, ma anche da fotografi professionisti, architetti, arredatori, detective. Nel mondo dello spettacolo l’hanno utilizzata truccatori, costumisti e scenografi sui set cinematografici (recentemente l’attrice Sean Young ha postato sul web le polaroid scattate da Ridely Scott durante le riprese di Blade Runner). E poi è stata in mano agli stilisti prima, durante e dopo le sfilate di moda e non sono pochi gli artisti che grazie alla “plastic camera” hanno realizzato i loro lavori. Su tutti il maestro della pop-art Andy Wahrol, che alla Factory (il suo studio di New York nonché punto di ritrovo dell’avanguardia artistica e del jet set) invitava a cena attori, sportivi, scrittori e modelle che - una volta terminato di mangiare - faceva sedere davanti a un muro bianco. Lì li intervistava, li riprendeva e poi li fotografava con la Polaroid scattando a pochi centimetri dei loro visi. Le piccole foto erano utilizzate dall’artista come bozze preparatorie, la base su cui avrebbe poi realizzato le sue opere. È lunghissima la lista delle persone fotografate dall’artista newyorkese con la Polaroid: da Liza Minnelli a Grace Jones, da Bianca Jagger e Sonia Rykiel, e poi Stallone, Truman Capote, John Lennon, Keith Haring, Giorgio Armani e tanti altri, ritratti a volte in compagnia allo stesso Wharol. Scatti unici, oggi apprezzati dal mercato che stima il prezzo di ciascuna foto mediamente 10 mila dollari. Tra gli artisti che hanno affidato alla Polaroid la loro vena creativa c’è anche Mario Schifano. Per il pittore italiano scattare le istantanee era un modo di guardare il mondo, prendere appunti di pensieri e bloccare folgorazioni. Le foto – spesso oltre le centinaia - stese ordinatamente su un tavolo o appese a una parete, ispiravano Schifano alla creazione di grandi tele. Anche Carlo Mollino, geniale ed eclettico artista torinese (architetto e fotografo, ma anche ingegnere, pilota di aeroplani e auto da corsa) ha avuto una stagione legata alla Polaroid: per oltre dieci anni, dalla metà degli anni Sessanta, ha scattato circa un migliaio di istantanee con soggetto donne di tutte le classi, dalle signore bene a sconosciute incontrate per caso, a prostitute, una produzione segreta nota solo a pochi amici intimi a cui spediva queste immagini a dicembre come auguri di buone feste. A livello artistico gli effetti che all’epoca si potevano ottenere con la Polaroid erano unici, come la cover del terzo album di Peter Gabriel (pubblicato nel 1980) in cui il volto del cantante appare in parte dissolto. Un aspetto un po’ romantico se rapportato al mondo digitale di oggi, dove ormai è la macchina fotografica che fa tutto, imposta apertura dei diaframmi, focus, luce, tanto che a volte impedisce a chi scatta di fare la foto che vuole, quasi avesse una sua volontà.
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