Synthetic Spectre, psichedelia senza limiti

Massimo Costantini

Synthetic Spectre è il nome di un collettivo artistico nato nel 2014 da un’idea di Marco Aceti e Omar Genoni, due 20enni della provincia di Varese. Il loro obiettivo è realizzare decorazioni scenografiche-psichedeliche di forte impatto visivo, per rave party ed eventi musicali. Nel 2017 a loro si aggiungono Michele Mina e Gianluca Argentieri: il gruppo è pronto per stupire - positivamente - chiunque entri in contatto con le loro installazioni.

In questi anni hanno lavorato, per eventi, mostre, workshop e residenze artistiche in Italia e all’estero, lasciando sempre una forte impronta visiva ad ogni iniziativa cui hanno partecipato.

L’ideazione di base delle loro installazioni è sempre site specific: cioè che i loro lavori sono concepiti direttamente in relazione allo spazio in cui vengono realizzate. In realtà è limitativo incasellare le loro opere come semplici decorazioni. A volte sono installazioni sospese a quattro-cinque metri di altezza dal terreno e definiscono la base dove avviene l’evento. In altre occasioni si presentano come sculture tridimensionali vere e proprie. In ogni caso, la tecnica che li contraddistingue e che accomuna sempre la loro produzione è l’utilizzo creativo della lycra elastica.

Normalmente i teli di questo materiale sono ritagliati in forme geometriche (triangoli, quadrati, esagoni) di varie dimensioni. Successivamente vengono forati in modo irregolare, con un lavoro fatto di forbici e di perizia certosina. Questi teli sono poi colorati con modalità diverse: colori acrilici stesi a pennello, bombolette spray o colori fosforescenti. A questo punto vengono uniti negli angoli con fascette elastiche, estesi sino a quattro volte rispetto alle dimensioni iniziali e fissati ad altezze variabili con corde di nylon colorate o chiodi ad alberi, colonne o qualsiasi altro supporto, in base al luogo di intervento. Il risultato finale è una decorazione psichedelica vagamente simile alla ragnatela di un ragno.

Il processo creativo parte solitamente da un’idea centrale che si concretizza in un progetto grafico finalizzato a una visione d’insieme. In questa fase sono fondamentali i concetti di simmetria e proporzione (oltre che basi di geometria pitagorica) e l’ispirazione che la natura frattale della realtà gli suggerisce. Per i dettagli finali viene lasciato molto spazio all’improvvisazione che diventa un elemento fondamentale nell’allestimento. Come dicono loro: «bisogna sempre saper interpretare il luogo che la ospita al fine di ricavarne l’effetto più incisivo e la migliore esperienza possibile».

I principali temi sviluppati sono la geometria sacra e quella frattale, i mandala, i pattern organici e i concetti di simmetria e armonia estetica. Altre influenze importanti e riconoscibili che ispirano il loro stile artistico sono le simbologie astrologiche ed esoteriche e motivi decorativi arcaici orientali e occidentali.

Synthetic Spectre definiscono la loro arte: «un processo immersivo ed esperienziale. La nostra aspirazione ideale è che lo spettatore interagisca con le nostre installazioni, prendendone parte come soggetto attivo della rappresentazione e non solo come osservatore esterno.L’installazione, nel complesso, è concepita come un dialogo tra il soggetto osservante e l’oggetto osservato, oltre che in rapporto diretto con il luogo in cui è allestita. Il nostro scopo consiste nel veicolare un messaggio di unità visiva e concettuale tra il luogo, l’oggetto e il soggetto mediante un’esperienza di stati estatici e, attraverso lo stupore, condurre lo spettatore in mondi immaginari e immaginabili.» La molla primaria che li ha spinti a fondare il collettivo? «Ci piace fare arte insieme perché ci fa vivere serenamente il rapporto col mondo e ci meraviglia ogni volta. Mettere in moto un processo creativo e trasformativo ci fa vedere la realtà con occhi nuovi. Lavorare sulle nostre installazioni è un nostro personalissimo modo di entrare profondamente in contatto con noi stessi e con il mondo. Questo processo ci diverte e ci stupisce ogni volta, perché oltre ad accompagnare lo spettatore in diversi stati della coscienza, come il mondo onirico, subiamo anche noi l’effetto dirompente delle nostre opere, rimanendo noi stessi sempre ammaliati».

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